cambiamentojpgDALLA RINUNCIA AL CAMBIAMENTO

storie di percorsi bioenergetici

Dr.ssa Sandra Pierpaoli

Lasciare andare l’ostinato tentativo di cambiare i propri genitori , ricadendo ogni volta nella trappola dell’inutilità e del fallimento, permetterà alla persona di predisporsi con nuova fiducia ad esperienze nuove, estranee alla sua storia e fin ora impensabili.

Paradossalmente, sarà solo passando attraverso la strada che l’ ha ricondotta alla sua spinta energetica originaria, dotata però di coscienza e consapevolezza, che la persona potrà incontrare l’accoglienza e l’appagamento desiderati, in una formula aggiornata alle sue esigenze di adulto.

Il caso di Bella: la rinuncia a chiedere

Bella è in piedi, con le ginocchia un po’ piegate, nella posizione del grounding, davanti al cubo di gommapiuma, che in questo momento rappresenta sua madre

Le ho chiesto di sollevare lentamente le braccia per protendersi verso di lei e chiederle “aiutami mamma”.   Attraverso un percorso terapeutico di due anni, è arrivata infatti a contattare un profondo bisogno di sostegno fin ora negato, da parte di due genitori che sono stati al riguardo inadeguati ed impacciati.

Bella inizia la sua richiesta, con la voce bassa e timida, con fatica protende le braccia verso l’immagine di sua madre, pronuncia quelle due parole pesantemente e in modo incolore, poi con la stessa pesantezza lascia cadere le braccia lungo i fianchi e resta immobile.

Alla mia domanda rispetto a ciò che sta accadendo, risponde, scuotendo lievemente la testa: “tanto è inutile” 

Il caso di Vito: la rinuncia all’ aggressività

Vito sta affrontando il nodo della sua relazione con il padre, uomo egocentrico e pieno di sé, che ha sempre trattato suo figlio con distratta noncuranza, dimenticandosi di fargli domande su eventi fondamentali della sua vita, quali la sua laurea o il suo matrimonio, per esempio. Al contrario ha richiesto a Vito un’attenzione continua, lamentandosi con lui del matrimonio fallito con la madre di V. e delle proprie difficoltà lavorative.

A poco a poco Vito ha iniziato a percepire una forte rabbia nei confronti di suo padre.

Oggi, davanti al cubo, è stato da me invitato a colpirlo con i pugni, dicendo “basta”.

Vito alza perciò le braccia oltre la testa , inspirando profondamente, e colpisce con forza il cubo più volte, accompagnando il movimento con voce potente e sicura.

 Dopo l’esperienza, condivide con me il suo vissuto in questo modo: “Ho sentito una terribile rabbia nei confronti di mio padre, mentre battevo sul cubo, ma ora… sto così, insomma, a che serve? Mi sembra inutile, tanto lui non cambierà mai…”

Il caso di Lucilla: la rinuncia all’espressione di sè

Lucilla ha iniziato la terapia a causa di una significativa depressione che l’ha costretta a casa per alcuni mesi, impedendole di svolgere qualsiasi attività extralavorativa. La sua vita, per lungo tempo, è stata ridotta a svolgere il lavoro mattutino di impiegata e a tornare a casa alla sua solitudine.

Gradualmente, attraverso molti sogni e attraverso un delicato ma costante lavoro sul corpo, Lucilla ha sentito risvegliarsi in lei uno spiritello vitale, desideroso di contatti, di gioco e di allegria.

Ha rievocato il grigiore della sua infanzia e della sua adolescenza, quando alle sue richieste di frequentare gruppi di amici, gite scolastiche, corsi sportivi ecc. invariabilmente le veniva risposto di no. Ha lasciato emergere il suo desiderio di ribellione, il suo astio e il suo spirito pieno di vita.

Ma per molte sedute, invitata ad affermare il bisogno di libertà e di esplorazione del mondo, che gli è stato negato dai suoi genitori, si è trovata coinvolta in una lotta dolorosa con se stessa, tra la spinta ad osare e una potente forza centripeta che l’ha immancabilmente ricondotta a chiudersi in un bozzolo scuro, vischioso e impotente. Per molte sedute, Lucilla ha rinunciato ad esprimersi e si è ripiegata su se stessa, accompagnando il movimento di chiusura del petto e di incurvatura delle spalle con la frase: “tanto è inutile”.

Origine della rinuncia

Si potrebbe definire la psicoterapia come il percorso, in senso opposto, che il paziente ha effettuato per strutturare le sue difese. Il suo viaggio è iniziato da bambino con un bagaglio di vive emozioni e di legittime richieste, è continuato incontrando nel mondo circostante divieti e negazioni che lo hanno condotto gradualmente a calcificare le proprie parti vive in tensioni muscolari e blocchi energetici. Quando si presenta in terapia, il paziente si predispone a prendere il treno di ritorno, riaffacciandosi sugli stessi paesaggi conosciuti all’andata, ma stavolta con la meta di liberarsi da tutto ciò che lo opprime e di tornare a contattare l’originaria spinta vitale.

Durante questo delicato percorso, è quasi d’obbligo nel processo psicoterapeutico a mediazione corporea, doversi soffermare su una specifica tappa del viaggio: la rinuncia.

Ci si riferisce a quell’attitudine rassegnata da perdente, che si manifesta nel corpo con un abbassamento del tono energetico e con una ritirata verso l’interno e, nella predisposizione emotiva, come la percezione di un profondo senso di inutilità e di impotenza.

Quando una persona si trova nella rinuncia il volume della sua voce si abbassa, il tono generale del corpo perde di vitalità , il colore della carnagione si spegne: tutti segnali che l’energia vitale non circola liberamente, ma che si sta inesorabilmente ritirando nel centro più irraggiungibile del corpo.

Nel suo viaggio di andata, il paziente ha tentato molte volte di conquistare l’approvazione e l’accoglienza dei suoi genitori e dell’ambiente circostante, rispetto ai suoi contenuti emozionali, sia nel caso si trattasse di bisogni e richieste, sia nel caso si trattasse di aggressività e di affermazione di sé. Avrebbe desiderato, più di ogni altra cosa, e a ragione, che le sue urgenze fossero ascoltate e condivise.

Ma, così non è stato. Il senso di impotenza e inutilità deriva dall’esperienza, ripetuta più volte, di rifiuto e assenza da parte di un ambiente esterno tanto desiderato, quanto freddo e respingente.

L’esperienza emotiva e psichica sperimentata in questi casi dalla persona assomiglia a quella di qualcuno che lotta disperatamente con un animale feroce, la cui forza è nettamente superiore. Oppure di qualcuno che si scontra con un muro impenetrabile e resistente.

Dopo molti tentativi di rimanere in vita, la persona cede , si rassegna ad un potere più grande, si avvia sul triste sentiero del rinunciare a ciò che ha di più prezioso: i suoi vissuti emotivi.

 Non è morta, ma è come anestetizzata o paralizzata o apparentemente svuotata. E impara a vivere con una ferrea convinzione inconscia: “tanto è inutile, non cambierà mai.”

Quale cura per la rinuncia?

Nelle situazioni cliniche presentate, i pazienti si trovano in quell’importante ponte terapeutico, che segna il passaggio dalla dimensione inconscia alla consapevolezza.

Nel viaggio a ritroso che stanno compiendo per riconnettersi alle proprie parti vitali, eccoli giunti alla paludosa fermata della rinuncia. Fino a questo momento la sua presenza è stata inconsapevole, poiché sono stati in contatto con strati più superficiali e più esternamente difensivi, che possono di volta in volta manifestarsi come indifferenza, distacco emotivo, disprezzo, depressione… ecc.

Mettere luce sulla zona del “tanto è inutile” è il primo significativo passo per un effettivo cambiamento. Insieme all’impotenza e alla rassegnazione incominceranno infatti a percepire un altro assolutamente inconsapevole ingrediente: ciò che un tempo è stata una richiesta legittima di attenzione e di accoglienza si è andata presumibilmente trasformando in una dura, esigente , inconscia pretesa che suona così: “perché sia utile e perché abbia senso, devi cambiare”

Come nel caso di V., la percezione dell’inutilità del proprio vissuto emozionale e della sua espressione all’esterno è collegata al fatto che il genitore o più in generale l’altro non si è dimostrato e continua a non essere affatto disponibile a cambiare le proprie reazioni.

E’ molto comune essere imbrigliati in un veicolo cieco, percepito come una trappola senza uscita, per cui nulla può cambiare perché ciò che vorremmo non ci viene dato.

Questo profondo e occulto atteggiamento inconscio è molto spesso attivo nelle relazioni intime e/o sociali attuali delle persone e si manifesta per lo più con comportamenti e richieste indirette, assumendo spesso la forma di un colpevolizzante ricatto.

Prendere atto di questa verità nascosta, riconoscere le aree in cui è attiva nella propria vita, comprenderne l’origine, induce finalmente al passo successivo, che rappresenta l’uscita dalla palude e il superamento della rinuncia .

Il cambiamento

Il vissuto di inutilità si trasforma nel momento in cui il paziente fa esperienza che l’espressione dei propri bisogni, delle proprie richieste e dei propri contenuti aggressivi è importante in se stessa e non perché verrà o meno appagata da qualcun altro.

Lo stesso fatto di diventare o ridiventare padroni dei propri sentimenti e di risvegliare nel corpo il proprio flusso energetico vitale, attivo e rivolto verso l’espressione all’esterno, è soddisfacente e appagante per la persona adulta.

A differenza del bambino, che aveva giustamente bisogno di conferme e risposte adeguate per crescere e per formare la propria identità, l’adulto può ricevere benessere dal suo stesso proporsi e sentirsi vivo.

Quando la persona è pronta a comprendere questo e a mantenere integra la propria energia di fronte all’animale feroce o al muro, rappresentati dalla negazione dei propri genitori, sperimenta finalmente l’unico cambiamento lecito e possibile: il suo.

A questo punto può sostituire alla convinzione che “tutto è inutile” la coscienza che “mi fa bene”.

Lasciare andare l’ostinato tentativo di cambiare i propri genitori , ricadendo ogni volta nella trappola dell’inutilità e del fallimento, permetterà alla persona di predisporsi con nuova fiducia ad esperienze nuove, estranee alla sua storia e fin ora impensabili.

Paradossalmente, sarà solo passando attraverso la strada che l’ ha ricondotta alla sua spinta energetica originaria, dotata però di coscienza e consapevolezza, che la persona potrà incontrare l’accoglienza e l’appagamento desiderati, in una formula aggiornata alle sue esigenze di adulto.